testo di Flavio Gagliardi e Stefano Speranza

La maggioranza dei “tropheofili” avrà probabilmente avuto a che fare con delle patologie che si manifestano inizialmente con perdita d’appetito, per poi portare al completo rifiuto del cibo e ad un concomitante aumento del volume dell’addome. I più amano classificare tali quadri patologici come delle “occlusioni intestinali”, senza mai approfondire tale problema in modo rigoroso al fine di fare veramente un poco di chiarezza.
In realtà la patologia dei pesci, ma lo studio delle patologie in genere, è un argomento da trattare con assoluto rigore poiché si tratta di un campo complesso e complicato dove gli approcci approssimativi non devono e non possono assolutamente trovare alcuno spazio.
Prima di decretare che si tratta di un’occlusione intestinale quanti hanno condotto un esame degli organi interni (fegato, rene, vescica natatoria etc.) del pesce? Quanti hanno fisicamente dissezionato l’intestino andando a verificare la presenza di parassiti? Quanti infine, hanno inviato ad un laboratorio d'analisi specializzato alcuni organi del pesce per cercare di comprendere la causa all’origine del decesso?
Indubbiamente non serve essere un ittiopatologo per allevare pesci in acquario, ma, un po’ come quando si leggono i componenti di un prodotto che stiamo per acquistare, serve che ci s’informi correttamente prima di affermare qualcosa. Se non si segue questa linea, si permane in una condizione di misconoscenza che inevitabilmente porta a delle considerazioni poco credibili sotto il profilo scientifico, con conseguente scelta di soluzioni “stregonesche” dettate dal “primo che passa”. Della serie: “mettice un po’ de questo per una settimana, poi due manciate de sale e vedrai che guariscono”.


Tropheus foto C. barberis

Petrochromis eretmodus foto G. Melandri

Tropheus sp. Kiriza foto C. barberis

Tropheus sp. Bulu Pointfoto C. barberis


Ma torniamo ai Tropheus ed alle patologie che nel tempo abbiamo visto li colpiscono più di frequente. Fra queste si colloca appunto la famigerata “occlusione intestinale”, che in realtà sarebbe più corretto definire come una condizione di idropisia, visto che di solito noi constatiamo solo l’ingrossamento dell’addome. Molto spesso il rigonfiamento addominale dei pesci che si ammalano è rapido ed estremamente evidente per cui la morte subentra rapidamente. In altri casi il Tropheus evidenzia un’insolita e progressiva perdita d’appetito, che lo porta spesso a prendere il cibo in bocca ed a sputarlo più volte, dopo di che non se ne interessa più. Fino a questo momento il nostro amico può essere ancora salvato intervenendo con dei trattamenti mirati. Un ulteriore segno del progredire della patologia è la presenza di feci lunghe e traslucide accompagnate da un rigonfiamento addominale a volte poco evidente e localizzato sui fianchi.
A questo punto, sebbene non abbiamo condotto alcuna analisi di laboratorio, lo studio dei più comuni testi di ittiopatologia ci indica delle linee principali da seguire. La presenza di feci filamentose e traslucide è infatti spesso correlata ad una infezione dovuta a protozoi flagellati, che aggrediscono l’intestino.
E’ tempo di porsi alcune domande: questi parassiti convivono con i nostri Tropheus in natura? Può trattarsi di protozoi che prosperano solo nel nostro acquario? Sono veramente i parassiti flagellati all’origine del rigonfiamento addominale o essi sono solo dei comuni commensali dell’intestino dei pesci che proliferano rapidamente qualora il pesce sia indebolito da un altro agente patogeno (virus, fungo o batterio)?
Nella letteratura specializzata si fa spesso riferimento a un protozoo flagellato della famiglia degli Hexamitidi come possibile agente all’origine di tali patologie, tuttavia una serie di altri agenti (virus, batteri etc.) non sono certo escludibili a priori, se non è stata condotta una accurata analisi. Gli Hexamitidi sono comunque un genere di protozoi commensali (condizione che indica un rapporto tra due specie nel quale una di queste riceve degli evidenti benefici, mentre l’altra non riceve ne vantaggi ne svantaggi), normalmente residenti nel canale gastro-intestinale dei pesci. Tali protozoi, precedentemente denominati Octomitidi, hanno una forma piriforme o ovale, sono lunghi 10-12 micrometri e presentano due flagelli posteriori e sei anteriori (Post, 1987). Sono state descritte poche specie appartenenti a questo genere (H. salmonis, H. truttae, H. intestinalis), ma a queste se ne aggiunge una classificata come Hexamita symphysodoni, che è stata osservata nell’analisi dell'intestino dei Discus (Van Duijn, 1973). La trasmissione tra i pesci avviene facilmente per via orale e tra i segni esternamente visibili che l’ittiopatologo George Post riporta (1987) vi sono la colorazione scura, l’anemia, il rifiuto del cibo, il ventre parzialmente incavato e l’eccessiva secrezione di muco nell’intestino (esternamente le “feci filamentose” e traslucide). La corretta diagnosi può essere effettuata solo mediante osservazione diretta ed identificazione dell’Hexamita nel lume intestinale, nella vescica natatoria oppure nel sangue, anche se in stadi più avanzati della patologia il protozoo è stato osservato nella cavità peritoneale, nel cuore, nel fegato di esemplari di Discus (Amlacher, 1970).

 

Va ricordato come un numero basso di questi flagellati nell’intestino dei pesci è un fattore del tutto normale. In tal senso esistono delle tabelle per decretare il grado di infezione nei pesci esaminati: tali valori sono riferiti al numero di protozoi osservati per singolo campo del microscopio al minor ingrandimento (Post, 1987).

numero di Hexamitidi rilevati Grado di infezione Provvedimenti
nessuno nullo Nessuno
Occasionalmente da 1 a 5 leggero Nessun trattamento
Da 5 a 15 moderato Nessun trattamento
Da 15 a 30 forte Trattamento necessario
Da 30 a 100 eccessivo Trattamento essenziale

 

Dopo aver fatto conoscenza con la famigerata Hexamita, torniamo alle nostre esperienze dirette con i Tropheus. Allevando questi meravigliosi ciclidi del Tanganyika abbiamo rilevato un correlazione tra l’insorgere di condizioni di idropisia (fattore che ora abbiamo compreso non significa necessariamente occlusione intestinale) ed una alimentazione definibile almeno inadeguata per un pesce fitofago, ovvero a base di lombrichi, cuore, chironomidi o qualsiasi altro cibo ad alto contenuto proteico.
L’idea maturata, confortata dai dati della letteratura, è che questi parassiti intestinali sono sempre presenti in tutti gli individui ed in particolare nei selvatici. Per questo motivo è assolutamente indispensabile quarantenare qualsiasi Tropheus selvatico (oppure di dubbia provenienza) ed effettuare un trattamento preventivo. Se questo non viene fatto, c’è il rischio che l’inserimento di un individuo nuovo in una vasca che da tempo ospita un folto gruppo di conspecifici, trasformi l’acquario in un desolante quadretto animato da un solo spensierato pesce che bruca le alghe accanto ai corpi “gonfi” dei suoi ex-coinquilini. Questa patologia (o questo insieme di patologie!) in acquario dilaga anche perché spesso si offrono delle condizioni non ottimali (pochi cambi d’acqua, temperature inadatte, condizioni igieniche relative etc.) che contribuiscono ad indebolire le difese immunologiche dei nostri ospiti. In tal senso è bene ricordare che i pesci possiedono un sistema immunitario più primitivo del nostro, la cui integrità può essere validamente e semplicemente sostenuta mediante un costante apporto di vitamina C.
Occupiamoci ora dei trattamenti che per esperienza diretta ed in base alla letteratura offrono dei risultati apprezzabili. Due sono le tipologie di composti che si possono impiegare: quelli che rimuovono meccanicamente i parassiti dall’intestino e quelli che li uccidono. Al primo gruppo appartiene il solfato di magnesio, un sale che aumenta la peristalsi intestinale facilitando l’espulsione dei flagellati (0,2-0,3% della razione giornaliera di cibo per tre giorni). Al secondo gruppo appartengono molti composti (il cloruro mercuroso, il 2-acetilamino-5-nitrotiazolo, il 2-amino-5-nitrotiazolo) (Post, 1987), ma quelli più facilmente reperibili sono il metronidazolo ed il dimetronidazolo. Se si vuole ottenere la massima efficacia (100% dell'assorbimento gastroenterico) questi ultimi due farmaci vanno somministrati nel cibo, infatti sono poco solubili in acqua e per contro sono liposolubili (Neuman, 1994), ed il trattamento deve durare tre giorni in modo da uccidere anche i parassiti che all’inizio del trattamento erano incistati (Post, 1987). Tuttavia, considerato che la malattia causa la pressoché completa perdita dell’appetito, spesso conviene optare per il trattamento dell’acqua dell’acquario.
Il metronidazolo è commercializzato con il nome di Flagyl in compresse da 250 mg. o in candelette da 500 mg. E’ possibile trovare della polvere pura ma questa è poco pratica, principalmente perché le dosi a noi utili sono difficilmente misurabili. Il metronidazolo non va assolutamente somministrato in concomitanza con il cloramfenicolo ed i sulfamidici in quanto aumentano il grado di tossicità ematica del farmaco (Neuman, 1994). La dose del trattamento è di 1 gr. per 100 litri d’acqua dell’acquario e deve essere ripetuta ogni due giorni per almeno quattro volte. Dalle nostre esperienze e da quanto riportato da alcuni Autori (Stoskopf, 1993), il metronidazolo sembra espletare un effetto trascurabile sull'efficienza del filtro biologico (si tratta infatti di un farmaco che oltre ad essere antiprotozoario è un blando antibatterico), ma è bene tenere sotto controllo i valori dell'ammoniaca e dei nitriti durante il trattamento. Per quanto riguarda il dimetronidazolo, questo è commercializzato sotto il nome d’Emtril, Alazol, Solutrazol, DMZ etc. La dose che ha offerto risultati apprezzabili è di 0,7 gr per 100 litri d’acqua. Con nessuno di questi due farmaci, alle dosi consigliate, si sono osservati effetti tossici macroscopicamente rilevabili.
In un caso abbiamo tentato di far giungere meccanicamente il prodotto all’interno dello stomaco dei pesci malati che da tempo ormai si mostravano inappetenti. Questo è stato possibile impiegando una siringa sulla cui punta era adattato un tubicino sterile di gomma morbida, del diametro di circa 1 mm e della lunghezza di circa 5 cm. Dopo aver anestetizzato con molta attenzione il “paziente” si fa entrare il tubicino nella bocca del Tropheus fino ad arrivare all’imboccatura del tubo gastroenterico. A questo punto si inocula la dose necessaria di prodotto (2% in peso della dose giornaliera di cibo per tre giorni, se si usa il metronidazolo o il dimetronidazolo). Quest’operazione non è semplice da effettuare, sia perché anestetizzare un pesce cosi’delicato non è cosa da poco, una dose eccessiva o una permanenza prolungata nel bagno contenente l’anestetico comporterebbe la morte del pesce, sia perché manovrare un animale di circa 20 gr. inserendogli un tubicino nella bocca, non è un’operazione facilissima e richiede una buona manualità. Tuttavia tale metodo sembrerebbe in grado di fornire qualche risultato in pesci ormai quasi irrecuperabili e che non ne vogliono sapere di alimentarsi.
Per quanto concerne la trasmissibilità di questa malattia ad altre specie di pesci, abbiamo notato come le specie prevalentemente vegetariane, come i Petrochromis, i Simochromis, gli Eretmodus, gli Spatodus, siano molto sensibili.
Un ultimo esempio pratico che crediamo possa contribuire a chiarire il grado di complessità a cui sono soggette le patologie dei pesci e le relative diagnosi: alcuni mesi addietro alcuni Tropheus di ciclidofili del gruppo di Roma hanno mostrato dei sintomi che sembravano molto simili a quelli normalmente indicati come occlusione intestinale (i pesci smettono di alimentarsi, alcuni mostrano un ventre ingrossato, saltuariamente si osservano delle feci filamentose). Dopo i primi trattamenti a base di Flagyl, che non sortivano l’effetto desiderato è stata compiuta la dissezione di un individuo appena deceduto. L’animale mostrava un enorme versamento di liquidi nella cavità addominale ed un fegato dal colore chiaro, ma quel che più sembra interessante è che la completa dissezione dell’intestino non ha fatto rilevare alcuna occlusione e il grado di flagellati osservati (confronta i valori della tabella) era del tutto normale! In questa occasione il rigonfiamento abnorme del ventre era credibilmente correlabile ad una aggressione da parte di batteri patogeni più che da protozoi flagellati.

 

Bibliografia citata:


Amlacher E., 1970. Textbook of fish disease. T.F.H. Publ. Inc., Neptune, NJ. 302 p.
Neuman M., 1994. Vademecum degli antibiotici ed agenti chemioterapici anti-infettivi. SIGMA-TAU S.p.A., quinta edizione, 468p.
Post G., 1987. Textbook of fish health -revised and expanded edition. T.F.H. Publ. Inc., Neptune, NJ. 286 p.
Stoskopf M., 1993. Fish medicine. Saunders Company, 854 p.
Van Duijn C., 1973. Diseases of fishes. Charles C. Thomas Publ., Springfield, IL. 372 p.

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