testo di Flavio Gagliardi e Oscar Di Santo

Il sistema di filtraggio di un acquario è la porzione più delicata e più importante dello stesso, poiché ci permette di non avvelenare i nostri pesci con i prodotti di rifiuto del loro stesso metabolismo. Tuttavia questo argomento è spesso posto in secondo piano dagli acquariofili poiché il più delle volte tutto funziona a dovere e difficilmente si osservano differenze tra i vari filtri o tra le modalità con cui vengono progettati e controllati. Ciòè principalmente dovuto al fatto che nelle nostre vasche noi alleviamo dei quantitativi di pesce (biomasse) talmente ridotti da permetterci anche dei gravi errori progettuali e di gestione del filtro. Sebbene un acquariofilo accorto non si trovi mai di fronte a un cattivo funzionamento del filtro, la conoscenza dei principi chimici, biologici e tecnici che ne regolano il corretto funzionamento sembrano comunque argomenti degni di importanza, almeno se si desidera migliorare le prestazioni di un filtro già a lavoro da tempo o nel caso se ne desideri allestire uno nuovo.

Innanzi tutto quando si parla di filtro biologico ci si riferisce principalmente alla porzione del filtro che si occupa di depurare (sarebbe più corretto dire ossidare) l'acqua sotto il profilo chimico trasformando i cataboliti (prodotti di rifiuto) tossici del metabolismo dei pesci (ammoniaca ed altro) in prodotti meno tossici (nitrati), sfruttando alcuni organismi (batteri). Stiamo facendo quindi riferimento a quella porzione del filtro solitamente riempita con cannolicchi di ceramica, roccia lavica, palline plastiche o materiali affini (ad es. il Siporax).

Ma andiamo per ordine. Alimentando i pesci noi non facciamo altro porre le basi per la formazione di molecole potenzialmente dannose per la loro stessa vita, infatti le proteine contenute nel cibo vengono trasformate in svariati composti finali più o meno tossici, che sono direttamente escreti in acqua in forme diverse (ammoniaca, urea, acido urico, ossido di trimetilamina, creatina, creatinina etc.) a seconda delle singole specie animali.

L'ammoniaca è il principale sottoprodotto azotato dell'escrezione dei pesci, ma si origina anche dalla decomposizione del cibo non consumato ed è una molecola particolarmente tossica se presente nella sua forma indissociata NHV mentre lo è meno se presente nella sua forma dissociata NH4+ (ione ammonio). Tale differenza di effetti è legata alla maggiore permeabilità attraverso le membrane biologiche che possiede l'ammoniaca NH, rispetto all'ammonio NH4*. Anche livelli molto bassi di ammoniaca possono causare iperplasia branchiale (Smith e Piper, 1975), causare danni ad altri organi e predisporre i pesci all'insorgere di patologie (Burrows 1964; Colt e Armstrong, 1981). Si raccomanda in genere di non superare concentrazioni di 0,02 mg/1. Tuttavia va puntualizzato come esista un equilibrio tra la forma tossica e quella non tossica principalmente legato al pH ed alla temperatura: a pH inferiore a 7 la forma indissociata NH, è presente in quantità ridotte qualunque sia la sua concentrazio-ne totale, mentre aumenta la concentra-zione della forma dissociata NH4*. All'aumentare del pH la situazione cambia radicalmente e repentinamente, ad esempio per un aumento di una unità (da 6,5 a 7,5) si osserva, mantenendo costante la temperatura, un incremento di dieci volte della forma indissociata NH, rispetto alla forma dissociata NH4*. L'accumulo di ammoniaca nell'acqua dell'acquario può comportare quindi delle conseguenze gravi per la sopravvivenza dei nostri pesci e ciòè soprattutto possibile se siamo in condizioni di pH è alcalino e temperature elevate (25-30 C).

Siccome si tratta di una molecola piccolissima, che non viene bloccata dal prefiltro (lana, spugna etc.), essa rimarrebbe in circolo nell'acquario accumulandosi progressivamente in relazione al quantitativo di cibo che offriamo ai pesci. Esistono tre principali metodi per rimuovere l'ammoniaca dall'acqua: "air stripping", scambio ionico e biofiltrazione.

Il primo metodo prevede l'agitazione e l'aerazione dell'acqua (air stripping appunto), permettendo di rimuovere fisi-camente l'ammoniaca in forma gassosa, ma è poco pratico per noi, visto che necessita di pH altissimi (10) e di colonne di contatto aria/acqua molto grandi. Il secondo si basa sull'affinità che possiede la clinoptilolite (una zeolite naturale) verso l'ammoniaca. Tuttavia con il tempo tale materiale si satura di NH, e va costantemente rigenerato con una soluzione di cloruro di sodio (NaCl), pratica quindi alquanto noiosa. Inoltre questa zeolite è efficace a concentrazioni di ammoniaca molto alte (2-3 mg/1) incompatibili con la vita dei pesci!

La biofiltrazione è il metodo più comune per rimuovere l'ammoniaca dall'acqua, soprattutto in circuiti chiusi di piccole dimensioni (acquari). Questo processo prevede che l'acqua ricca in ammoniaca (acqua dell'acquario) passi per mezzo di un circuito forzato (i vani del filtro) attraverso un substrato (roccia lavica, cannolicchi di ceramica etc.) che alloggia dei particolari organismi autotrofi in grado di rendere meno tossica questa molecola, trasformandola chimicamente. Si tratta dei cosiddetti batteri nitrificanti che ossidano l'ammoniaca e l'ammonio in nitriti (NO2) e successivamente in nitrati (NO,). Più specificatamente un primo gruppo detto di batteri nitrosanti, generi Nitrosomonas sp., Nitrospira e Nitrosococcus ossidano l'ammoniaca a nitriti (NH,=>NO2) ed un secondo gruppo detto di batteri nitrificanti, generi Nitrobacter sp., Nitrospina e Nitrococcus ossidano i nitriti a nitrati (NO2=>NO,). Questi batteri appaiono morfologicamente molto simili, le forme più comuni sono cocchi e bacilli, ma geneticamente assai diversi (Wood, 1986).

Le condizioni ottimali di crescita: I batteri nitrificanti necessitano di ossigeno per il loro normale metabolismo. Il consumo teorico totale di ossigeno per la nitrificazione completa dell'azoto ammoniacale è di 4,57 gO2/gN-NH4 ossidato (Vismara, 1988). Risulta fondamentale quindi che la concentrazione di ossigeno non scenda mai sotto i 2-3 mg/1.

Specialmente i nistrosanti risentono di carenze di ossigeno poiché possono generare intermedi di reazione come le idrossilammine che inibiscono l'attività dei nitrificanti. In queste condizioni l'intero processo di nitrificazione si interrompe alla prima fase con produzione di nitriti. I nitriti sono composti altamente tossici per i pesci (Russo e Thuston, 1977) e possono accumularsi accidentalmente nell'acqua dell'acquario se la colonia di batteri nitrificanti deputata al loro smaltimento, non è sufficientemente sviluppata per trasformarli in nitrati. Questi sono il prodotto finale delle nitrificazione biologica e, a meno che nel circuito non sia presente un denitratore o degli organismi vegetali (piante o alghe), tendono ad accumularsi progressivamente in relazione al quantitativo di cibo fornito ai pesci. Si tratta di composti assolutamente meno tossici dei precedenti (ammoniaca e nitriti), ma che a concentrazioni elevate (>50 mg/1) possono incidere negativamente sulla crescita e sullo stato fisiologico generale dei pesci. Torniamo alle condizioni ottimali di crescita dei batteri. La temperatura giucca un ruolo determinante in quanto la crescita ottimale si osserva a 25-30 C, mentre alle basse temperature l'attività rallenta notevolmente. A temperature > 35 Ci batteri entrano in fase di stress a causa della distruzione del loro pool di enzimi. Per i nitrosanti l'attività si interrompe a 40 C, mentre per i nitrificanti la soglia è45 C. Il pH ideale di crescita della colonia è tra 7.5 ed 8. Tuttavia va sottolineato come valori > di 8 e <di 6 sono letali. Poiché la nitrificazione biologica tende a far diminuire l'alcalinità dell'acqua dovrebbero essere assicurati livelli di bicarbonato dai 100 ai 200 mg/1. I batteri nitificanti hanno un buon range di tollerabilità sui cambiamenti della pressione osmotica. Molti nitrificanti riescono a passare rapidamente da condizioni salate a dolci con minimo impatto sulla loro attività.

I batteri nitrosanti risultano essere sensibili alla regione dello spettro vicino all'ultravioletto per cui spesso in condizioni di eccessiva illuminazione generano un biofilm la cui superficie superiore crea uno strato d'ombra che limita lo stress luminoso per i batteri sottostanti.

La tipologia di substrato che offriamo alla nostra colonia di batteri è un fattore di notevole importanza per supportare una colonia grande e stabile. Tra i materiali maggiormente impiegati si trovano: la roccia lavica, i cannolicchi di ceramica, i materiali plastici, i gusci di bivalvi, il Siporax. Ognuno di questi differenti materiali presenta delle caratteristiche che li rendono più o meno idonei alla biofiltrazione a seconda degli obiettivi che ci si prefigge. Tra le principali caratteristiche, che dovrebbero essere prese in considerazione prima di decidere il tipo di materiale per il filtro biologico del nostro acquario, troviamo la superficie sviluppata. In sostanza si tratta di valutare a parità di peso che superficie sviluppa il materiale in questione (i prodotti più affidabili riportano tale indicazione sulla confezione in m2/g). Il Siporax è certamente tra i migliori (superficie sviluppata= 1 mVg),

seguito a ruota dalla roccia lavica, dalla ceramica, dai gusci di bivalvi ed infine dai materiali plastici.

Altra caratteristica di interesse è l'uniformità dei pori e la loro dimensione. Anche per questi parametri il Siporax si dimostra un materiale di eccezionale fattura in considerazione di una strabiliante uniformità e di una sezione del poro (che varia tra i 60 ed i 300 micron) studiata ad hoc. La roccia lavica invece è un materiale piuttosto disomogeneo, quindi con pori di sezioni molto differenti. Più omogenei i materiali plastici e poi in successione gli altri materiali come cannolicchi e gusci di bivalvi. La sezione del pori è un fattore da non trascurare, infatti questi dovrebbero essere delle dimensioni più idonee per permettere l'alloggiamento dei batteri e di conseguenza una più rapida e più omogenea colonizzazione dei substrati offerti. In questo senso il Siporax, essendo un prodotto appositamente realizzato per la biofilrazione, offre enormi vantaggi, la grandezza del poro infatti è stata studiata in funzione delle dimensioni dei batteri nitrificanti che vi si dovrebbero insediare!

Molto spesso il fai da te prende il sopravvento tra gli acquariofili e quindi nel caricare un filtro biologico si opta per i gusci di bivalvi (vongole, cozze, capesante etc.). Tuttavia questi materiali, sebbene a buon mercato, possono causare degli inconvenienti spiacevoli: aumento della concentrazione di ammoniaca, introduzione di agenti patogeni, sgradevoli odori nell'acquario, tempi di pulizia lunghissimi, geometria del materiale poco omogenea. Tutte queste ragioni dovrebbero almeno farci riflettere sull'opportunità di impiegare o meno questi materiali per il nostro biofiltro.

Due accenni infine su un argomento che negli ultimi anni ha catalizzato l'attenzione del mondo dell'acquariofilia: la denitrazione. Questo processo, assai complesso ed ancora oggi poco noto, permette l'abbattimento della concentrazione di nitrati attraverso la degradazione biologica operata da alcuni ceppi di batteri che utilizzando due molecole di nitrato (NO ) ne formano una di azoto gassoso (N2). Questo processo a volte avviene a nostra insaputa anche nelle nostre vasche. Tuttavia per far si che le concentrazioni di nitrati che vengono trasformate siano utili ai nostri scopi è bene che la denitrazione sia facilitata, per cui è bene che vengano rispettate le regole che la governano. Una di queste è che l'ambiente dove si desidera farla avvenire sia piuttosto povero di ossigeno (condizioni di anaerobiosi). In generale una concentrazione di ossigeno disciolto più alta di 0,5mg/l è risaputo che inibiscela denitrificazione (Rittmann e Langeland, 1985). Tuttavia le due reazioni ( nitrificazione e denitrificazione) sono sotto molti punti di vista complementari: la nitrificazione produce i nitriti utili per la denitrificazione, la denitrificazione incrementa Palcalinità dell'acqua utile per la nitrificazione, la nitrificazione consuma ossigeno riducendone quindi la concentrazione favorendo così l'ambiente per la denitrificazione. Queste semplici considerazioni ci portano ad affermare che su di un singolo substrato sia possibile far avvenire entrambi i processi. Proprio queste considerazioni hanno fatto nascere il Siporax: un materiale sinterizzato con pori omogenei e di dimensioni idonee per alloggiare i batteri nitrificanti nel film superiore e quelli denitrificanti in quello inferiore. In questo modo i batteri nitrificanti consumano ossigeno e permettono la crescita dei denitrificanti nella porzione più interna del poro. Un gruppo di ricercatori (Menoud et al., 1998) recentemente è riuscito a dimostrare l'efficacia del Siporax come substrato per la denitrificazione oltre che per la nitrificazione, fattore questo che dovrebbe far riflettere maggiormente ciascuno di noi allorché si trovi ad allestire un acquario oppure a modificarne uno vecchio.

Bibliografia:

Burrows R., 1964. Effects of accumulated excretory products on hatchery reared salmonids. U.S. Fish and Wildlife Service Research Report 66.

Colt J. and Armstrong, D., 1981. Nitrogen toxicity to fish, crustaceans and mollusks. pp. 39-42, in Proceedings of thè bio-engineering symposium for fish culture, Am. Fish. Soc., Maryland.

Menoud P. et al., 1998. Simultaneous nitrification and denitrification using Siporax"" packing.

Russo R. and Thuston, R., 1977. The acute toxicity of nitrite to fish. In : Recent advances in fish toxicity, eds. EPA Ecol. Res. Ser., EPA-600/3-77-085, pp.118-131.

Rittmann B.E. and Langeland W.E., 1985. Simultaneous denitrification with nitrification in single channel oxidation ditches. Journal of Water Pollution Control Fed., voi. 57, 4, pp.300-308

Smith C. and Piper, R., 1975. Lesions associated with chronic exposure to ammonia. In "thè patology of fishes" eds.Ribelin, pp.497-514. Univ. of Wisconsin Press.

Vismara R., 1988. Depurazione biologica. Teoria e processi. Hoepli, Milano, 573 pp.

Wood P. M., 1986. Nitrification as a bacterial energy source. Nitrification, Eds.: J.L. Prosser WashingtonD.C.