Testo di Livio Leoni

Credo che pochi comportamenti umani ci possano sconvolgere tanto quanto avere notizia del sacrificio di una vita per un'altra. Se alla nostra mente riesce infatti facilmente comprensibile il gesto della madre pronta a difendere il proprio figlio fino alle estreme conseguenze, ci riesce difficile dare spiegazione, invece, di gesti disinteressati nei confronti di sconosciuti. Come è possibile che esistano simili comportamenti?

Simili misteri compaiono anche tra esseri che consideriamo fondamentalmente egoisti come gli animali. Cosa spinge una formica soldato ad ingaggiare combattimenti chiaramente suicidi? Un quesito ancora più stringente e sottile è: come è possibile che tutte le vespe, tranne la regina, in un vespaio siano sterili? Le specie esistono per riprodursi non per produrre membri sterili fisiologicamente sani, ma di poca utilità per la continuità della popolazione. Una domanda ancora più assillante per i lettori di questo contributo è: cosa interessa a noi ciclidofili tutto ciò?

La risposta alle prime due domande non è semplice, ma prometto di spiegar-vela brevemente, e con efficacia spero, se dimostrerete la pazienza di continuare la lettura. La risposta all'ultima è che questo argomento mi permette di parlare di una specie che sto allevando con grande soddisfazione già da qualche anno: Neolamprologus marunguensis. Inoltre, fattore di non secondaria importanza, tutto ciò mi consente una piccola disgressione nel campo della biologia evolutiva.

L'altruismo è un paradosso di cui Darwin stesso nella stesura de "L'origine delle specie" aveva colto la portata. La spiegazione di questo fenomeno così diffuso in natura, che trova il massimo sviluppo nelle cure parentali, è stata data dalla sociobiologia, una branca della biologia che tende a spiegare ogni comportamento sociale in funzione del comportamento riproduttivo. Perché una coppia di genitori accudisce i figli? E' più esatto affermare nelle cure parentali i geni dei genitori hanno maggiori possibilità di sopravvivere e diffondersi rispetto alla situazione opposta che vede i genitori continuare a produrre figli di cui buona parte sono destinati a morte certa prima dell'età riproduttiva. Hamilton, un genetista, ha dimostrato matematicamente (questo ve lo risparmio) che la probabilità che due individui cooperino dipende dalla quantità di geni che condividono. Due fratelli manifestano comportamenti altruistici molto più facilmente rispetto a due cugini perché in questo caso la quantità di geni comuni è molto minore rispetto ai fratelli. Perché esiste il sentimento di cam-panilismo dei cittadini verso la propria città? Perché questi cittadini condividono un numero di geni comuni maggiore rispetto agli abitanti di un altro comune. Si intravede a questo punto il capovolgimento assoluto della credenza comune di altruismo: l'atto altruistico è in realtà un mero atto egoistico di sopravvivenza dei propri geni. Perché le vespe operaie sono sterili? Perché queste hanno demandato il compito riproduttivo alla propria madre, la vespa regina, costringendola a produrre continuamente altre vespe operaie. Infatti le vespe operaie, per particolari fenomeni genetici, condividono tra loro un numero di geni maggiore rispetto a quanti ne abbiano in comune con la stessa madre. Da quanto detto cade una delle convinzioni comuni più diffuse. Ciò che avviene in natura cioè non accade per il bene della specie, ma è il risultato di atti individuali fondamentalmente egoistici.

Devo notare che il caso dell'altruismo rappresenta uno dei pochissimi eventi in cui la sociobiologia sembra fornire una spiegazione convincente. L'accento esagerato che i sociobiologi calcano sui geni e sulla loro diffusione infatti spesso non convince. Non esistono geni isolati bensì individui che giocano dei ruoli importanti ed unici negli ecosistemi.

E i Ciclidi? I Ciclidi non contribuivano per nulla alla conoscenza del meccanismo dell'altruismo finché dei ricercatori non scoprirono che alcune specie del lago Tanganica tolleravano i propri piccoli molto a lungo nel territorio di riproduzione. Le specie studiate appartenevano ai generi Julidochromis e Neolamprologus due dei generi maggiormente diffusi tra i ciclidofili appassionati di questo lago. A questo punto inizia il mio esperimento della durata di circa 3 anni. Dedico la vasca (circa 300 litri) ad una coppia di Neolamprologus marunguensis, ad un gruppo di Cyprichromis leptosoma "Utinta" e ad alcuni Spathodus erythrodon.

I due N. marunguensis cominciamo immediatamente, e con successo, la conquista dell'intero ammasso roccioso e del fondo. L'anno seguente il gruppo consta di oltre 14 esemplari semi adulti. Purtroppo la coppia di genitori muore per una batteriosi scatenatasi improvvisamente durante il caldo estivo e l'intero territorio viene diviso tra tre maschi. Tutti e tre mostrano una discreta gibbosità sulla fronte che con il tempo si accentuerà. Ogni maschio dispone di circa due femmine che presiedono un piccolo territorio all'interno di quello del proprio partner. Anche le femmine combattono accanitamente tra loro ed è possibile assistere a piccole scaramucce. Gli altri esemplari sembrano maschi per lo più e sono relegati nei piani superiori della vasca in compagnia dei Cyprichromis. Iniziano le riproduzioni. Ogni femmina depone al riparo nell'intrico delle rocce e nascono nugoli di piccoli che, fortunatamente vengono in gran parte falcidiati. Effettivamente le deposizioni si succedono abbastanza frequentemente e i sopravvissuti rimangono a lungo con i genitori anche in presenza dei nuovi nati. I più grandicelli addirittura stabiliscono dei propri miniterritori vicino alle rocce e scacciano, perlomeno ci provano, gli intrusi. Ho potuto assistere a scene divertenti quali un pìccolo individuo di N. marunguensis delle dimensioni di circa 3 cm che si esibiva in incredibili parate di minaccia in difesa dei fratellini minacciati dall'avventurosa scorribanda di un maschio di Cyprichromis alla ricerca di piccole larve. Ovviamente il maschio di Cyprichromis non si è minimamente scomposto almeno finché non è sopraggiunto un genitore adulto.

I piccoli crescono e quando raggiungono le dimensioni di 5 cm vengono a loro volta allontanati dai genitori. Qualche esemplare viene comunque ancora accettato e dal comportamento sembrano essere femmine. Queste femmine aiutano la coppia principale nella cura dei propri piccoli poiché spesso si prendono carico di alcuni avannotti. Due di questi genitori adottivi, comunque, si sono a loro volta rivelati una coppia e, ad un tratto, iniziano a crearsi un piccolo territorio placando gli individui dominanti con i caratteri-stici tremolii del corpo. Quello qui descritto d'altronde non è un comportamento nuovo nel regno animale. Nel caso della ghiandaia della California, ad esempio, i fratelli più grandi si fermano spesso nel territorio ad accudire i nuovi nati. Non per altruismo, ma per reclamare un diritto di prelazione sul territorio dei genitori alla loro morte. La ricerca di un territorio nuovo in un ambiente sconosciuto è infatti molto faticosa e non sempre giunge a buon fine per le ghiandaie. Accudire i fratelli minori in attesa del proprio turno può essere considerato da codardi, ma è sicuramente più redditizio.

Ora i N. marunguensis sono ormai 32. I 3 maschi dominanti controllano le proprie femmine sul fondo. Una nuova coppia sembra farsi largo mentre tutti gli altri vivono al di sopra dell'ammasso roccioso. E' incredibile il fatto che gli esclusi non presentino alcun sintomo di sofferenza o di stress. Le pinne sono integre e nessuno è denutrito, ma non possono avvicinarsi al fondo.

La vasca ricorda una di quelle foto scattate in natura che mostra le colonie di N. brichardi che elevandosi dal substrato finiscono per somigliare a piccoli ombrelli. E' uno spettacolo affascinante, ma gli altri ospiti non sembrano gradirlo eccessivamente. Gli Spathodus ovviamente subiscono, mentre un solo maschio di Cypricbromis, su tutto il gruppo, riesce ad essere talmente aggressivo da uscire allo scoperto. La classica goccia che fa traboccare il vaso cade quando, assistendo all'accoppiamento dei Cyprichromis, noto che la femmina non riesce a catturare in tempo l'uovo appena espulso perché alcuni esemplari di N. marunguensis, circondando la coppia a mo' di avvoltoi sulla preda in agonia, fanno a gara per divorarselo. Su 12 uova ben 7 sono predate. Quando è troppo è troppo. L'incredibile densità di pesci, inoltre, rappresenta la miglior difesa nei confronti degli altri pesci per la prole delle coppie in riproduzione sul fondo. Ogni covata, infatti, consta di circa 60 avannotti e in breve tempo la quantità di N. marunguensis aumenterebbe eccessivamente se tutti sopravvivessero.

Un pomeriggio d'estate, a malincuore, catturo tutti: 32 esemplari tra adulti e semiadulti e 20 giovani di circa 4 cm. L'esperimento non è ancora terminato perché sarebbe necessario arrivare alla riproduzione della nuova generazione, ma la mia vasca non è più in grado di reggere l'urto di questi nuovi barbari. La coppia giovane si sarebbe ritagliata un territorio nuovo? I dominanti avrebbero mantenuto la loro superiorità ancora a lungo? Qual è il limite di coppie per una simile vasca? Anche in vasche molto grandi è possibile rinvenire simili dinamiche o intervengono dei meccanismi di limitazione all'espansione della colonia dei Neolamprologus? Gli esemplari scacciati dalle colonie sono maschi che, alla pari dei leoni africani, vanno a colonizzare nuove aree o si aggiungono a colonie estranee?

BIBLIOGRAFIA

-Denti L. P. (1998) - Neolamprologus marunguensis. Bollettino dell'Aie 1: 9-10.

Eldredge N. (1999) - Ripensare Darwin. Einaudi, Torino.

-Hòlldobler B., Wilson E. O. (1997) - Formiche. Adelphi Edizioni, Milano.

-Scheneidewind F. (1997) - L'altruismo nei pesci. Aquarium Oggi 3: 24-26. p

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