Testo e foto di Giuliano Ruscelli
Leggo e rileggo tutti i numeri del bollettino AIC, ma di lui nessuna traccia.
Possibile che ancora nessuno ( nonostante i simpatizzanti siano sicuramente tanti), abbia scritto qualcosa di questo campione dei superlativi? Eppure, se il Discus viene chiamato “ Sua Maestà “, io credo che l’imponente e simpatico Astronotus ocellatus debba essere incoronato “ Imperatore dell’Amazzonia”, e vorrei quindi “raccontarlo” a chi non ha ancora fatto la sua conoscenza. Ma tanto per mettere un po' d’ordine, facciamo qualche passo indietro:...Storia prego!
E’ la macchia rotonda del peduncolo caudale che ha fatto attribuire al nostro favorito il nome latino “ ocellatus “. Fu descritto la prima volta nel 1829 dal naturalista francese Barone Georges Cuvier, che denominò la specie ocellatus, collocandola nel genere Lobotes, da lui appena istituito elaborando gli studi del naturalista tedesco Bloch. Nel 1831 lo svizzero Agassiz, di ritorno da una spedizione in Sudamerica, portò con sè alcuni di tali pesci e nella sua relazione confermò il valore degli studi svolti da Cuvier. Nel 1839 l’inglese William Swainson istituisce il nuovo sottogenere Astronotus. Arriviamo così al 1929, quando una ditta tedesca importò alcuni esemplari selvatici dal Brasile e finalmente nel 1933 ci furono le prime riproduzioni in cattività, negli Stati Uniti e un anno dopo in Germania.
Da allora sono stati selezionati numerosi esemplari di diversa forma e colore, variando i caratteri dell’archetipo selvatico, dal corpo color grigio-oliva con macchie e ocelli rossi ( da noi ormai piuttosto raro). Il tipo principale è il rosso tigrato, che ha macchie rosse irregolari. Con ulteriori selezioni, si è ottenuta la varietà a fianchi rossi ( in pratica quasi tutta la superficie dei lati del pesce è rossa), e quindi l’albina. Su questi tre temi principali si sono poi ottenute numerose varianti. Anche sulla forma si è intervenuti, tanto da produrre ad esempio soggetti con pinna a velo ( della serie: se non giochiamo al piccolo Frankestein, non siamo contenti! ).
In natura esistono numerose razze geografiche, tanto che già 15 livree differenti sono state segnalate, sicuramente più belle di quelle artificiali d’allevamento. La dieta base nel bacino idrografico del Rio Amazzoni è costituita da vegetali, invertebrati e piccoli pesci, che l’Astro cattura nuotando in acque stagnanti, fra radici e vegetazione sommersa. In acquario il suo comportamento è indubbiamente vivace: nonostante l’acquariofilo costruisca amorevolmente per lui l’arredo più vario, con tronchi e sassi d’ogni tipo, il Nostro lo ripaga facendone tabula rasa e disponendo il tutto a suo piacimento. E’ da preferire un fondo fatto con materiale fine ( ottima la sabbia), in modo che i resti dei suoi pantagruelici spuntini, mantenendosi in superficie, possano raggiungere il filtro e venire periodicamente sifonati. La pulizia può essere completata dal lavoro di Plecostomus o altri Loricaridi, che fra l’altro possono essere in pratica gli unici compagni d’avventura dell’irruente Imperatore.
L’illuminazione ideale è quella moderata, con neon “ viola “ tipo Silvania Gro-Lux, Osram L/77 e simili, che risaltano il colore delle macchie rosse.
I valori dell’acqua: pur non portando, se inesatti, particolari problemi o malattie al robustissimo Astro ( salvo quella detta “ del Buco”, che provoca ulcere soprattutto sulla testa, con decorso cronico, ma in genere ben tollerata), sono rapportati a quelli naturali se mantengono un pH attorno a 6: la presenza di alcuni tronchi in vasca e l’effetto della trasformazione dei resti del cibo, aiutano a raggiungere il valore acido.
Ma veniamo alle esperienze personali.
...Ho acquistato il mio primo esemplare otto anni fa, grande appena mezzo pollice, non sapendo all’epoca come sarebbe cresciuto nel giro di neanche un anno: purtroppo l’informazione AIC ancora non esisteva! Il Nostro è rimasto in solitudine per tre anni, nutrito con vivo, pezzi di carne rossa o petto di pollo, lombrichi e pellets,tanto da sviluppare 30 centimetri di stupenda livrea nera a macchie rosse. Cinque anni fa gli ho affiancato un altro simile di pochi mesi, grande appena otto centimetri. Dopo circa due anni di pacifica convivenza, l’ultimo arrivato, nel frattempo cresciuto fino a raggiungere il primo, si è rivelato essere un maschio, ed il più anziano una femmina: la coppia era finalmente formata! In effetti non si evidenziano particolari segni di diformismo sessuale, fino al momento della riproduzione. I pochi caratteri probabilmente distintivi del maschio, che evidentemente prima della riproduzione non avevo notato perché poco evidenti, possono essere: - pinna anale terminante a punta rivolta verso l’alto; - protuberanza carnosa ( delle dimensioni di un cece) nel labbro inferiore; - colorazione intensa del sottogola. La prima riproduzione, con temperatura attorno ai 27°, avviene dopo un rituale di giochi a dir poco spettacolare, che si protrae per diversi giorni. Con la testa rivolta verso il basso, i pesci spostano ogni oggetto che intralci il loro campo d’azione, livellando nel contempo la sabbia con vorticosi movimenti delle pinne. In particolare la grossa lastra piatta prescelta per la deposizione, viene a turno ripulita da ogni impurità con lo sfregamento della bocca. Il lavoro si protrae anche nel turno notturno: gli strani rumori che sentirete durante la notte non saranno causati dai ladri, ma dai vostri “ Astro in love “. Anche il contatto fisico durante il corteggiamento è spettacolare: le due metà si fronteggiano, tirandosi per la bocca e scuotendo ritmicamente la testa ( quest’ultimo movimento si ripete curiosamente in tutt’altro contesto, dopo che avrete introdotto la mano in acqua per “ accarezzare” il pesce appoggiato sul fianco nel fondo della vasca), con una tale profusione di energia, da farci pensare ad un combattimento , più che ad un gioco amoroso! Entrambi gli Astro cominciano ad evidenziare i loro organi riproduttori: quello della femmina è visibilmente più grande.
Finalmente, dopo un intervallo di tempo che diminuirà nelle successive riproduzioni, ha inizio la deposizione. La femmina, strisciando il ventre sulla roccia, incolla una lunga fila di piccole uova che il maschio, seguendola diligentemente, provvede a fecondare. Alla fine del certosino lavoro, le innumerevoli fila riempiono la grande lastra: le uova deposte possono così raggiungere le 2.000 unità. Da quel momento entrambi i genitori a turno provvedono ad ossigenare la loro discendenza, agitando le pinne pettorali col corpo basso sulla roccia: il pesce libero dall’attività sorveglia il territorio. Dopo due-quattro giorni ( ma vi consiglio di attendere anche il quinto, prima di disperare), una moltitudine di filamenti si agiterà dal luogo della deposizione verso l’alto: sono le piccole code degli avannotti che cominciano a muoversi. Per alcuni giorni non hanno bisogno di cibo, perché hanno in dotazione un ricco sacco vitellino. Nel frattempo potete preparare gli insostituibili naupli di artemia, che somministrati copiosamente faranno in poco tempo crescere i vostri baby-Astro.
... Da cinque minuti a questa parte, spero che sia aumentata la truppa dei simpatizzanti Astronutisti, e che qualcuno pensi bene di gustarsi per i prossimi dieci anni le simpatiche sfuriate del dinamico e potente Imperatore! Io, che già un po' di soddisfazioni me le sono tolte, come ringraziamento regalerei volentieri ai miei Astro un tuffo nell’acqua del Rio delle Amazzoni, ma dato che per i prossimi lustri non ho in programma gite del genere, se qualcuno ha in previsione di passare da quelle parti...citofonate!!!