testo di Maurizio Leigheb
Questo articolo, pubblicato con l'autorizzazione dell'autore, è tratto dall'opera sull'Amazzonia della Universale Electa/Gallimard nella collana VIAGGI E SCOPERTE.
L'emergenza: demarcare le terre
La terra è per gli indios fonte di sopravvivenza, ma non solo. E' il fondamento stesso della loro cultura: religiosità , identità etnica, "visione del mondo" vi sono strettamente legate.
La misura più urgente e importante per gli indios dell'Amazzonia è certamente la demarcazione delle terre in cui questo popolo possa esercitare il diritto al proprio modo tradizionale di vì vere. Maurizio Leigheb ha fatto il punto della situazione, all'indomani della Conferenza di Rio, con un articolo apparso su "Atlante" (De Agostini):
Le terre degli yanomami
(...) Alla Conferenza di Rio sull'ambiente e lo sviluppo (Eco 1992), il gigante sudamericano ha voluto presentarsi con le carte in regola. La politica "indigenista" del Brasile ha segnato una svolta storica il 15 novembre 1991, quando il presidente ha decretato la demarcazione delle terre degli indios yanomami, un territorio di 96.191 km quadrati (l'equivalente di tutte le regioni del Nord Italia) comprendente parte degli stati del Roraima e
dell'Amazonas, alla frontiera con il Venezuela.
Si tenta così di rimediare alle violenze fisiche e morali che gli yanomami hanno dovuto subire soprattutto negli ultimi vent'anni, quando il loro territorio, frazionato in 19 "isole", è stato invaso da cercatori d'oro e di pietre preziose (i cosiddetti garimpeiros), che anno dopo anno hanno raggiunto il numero di 40.000, diffondendo gravi malattie, inquinando i fiumi con il mercurio e seminando la morte tra gli indios. La demarcazione delle terre è la misura più urgente e importante che è necessario adottare se si vogliono difendere le etnie minacciate da una selvaggia espansione economica e demografica. La terra, infatti, è il fondamento della cultura indigena. E" la base della religiosità , dell'identità etnica e della "visione del mondo" di queste genti, una filosofia basata sull'osservazione e sul rispetto delle leggi naturali che nulla hanno da spartire con l'ideologia econò mica e geopolitica delle potenze industriali. Dalla terra gli indios traggono non solo le riserve necessarie per sopravvivere; la sua dimensione non è soltanto fisica, ma è quella di un universo culturale. La terra è il luogo dove gli autoctoni sono nati e che non hanno mai abbandonato. Alla terra fanno riferimento la visione del cosmo, i valori culturali e religiosi, le strutture sociali e i comportamenti. E' una terra molto vasta, perch é gli yano-mami sono un popolo che ha bisogno di molto spazio, che vive spostandosi continuamente per cacciare, pescare, raccogliere prodotti spontanei della foresta e coltivare prodotti agricoli, per incontrare parenti e mantenere con gli altri gruppi rapporti di solidarietà e di alleanza.
Mille ettari per indigeno?
Può stupire che a poche migliaia di yanomami si destinino 9.600.000 ettari di terra, ma non si possono considerare gli indios alla stregua di coloni o di contadini. Questo stupore deriva dal fatto che ignoriamo la cultura indigena e crediamo di risolvere i problemi delle società indigene usando i nostri parametri. E' per questo che molti, in Brasile, pensano che il governo stia dando troppa terra agli indios. In realtà nessuno sta dando loro alcunché : si tratta solo di riconoscere il diritto di rimanere dove sono nati e cresciuti e dove abitano attualmente. Bisogna evitare che per mancanza di terra e di spazio altri indios facciano la fine dei kaiowà del Mato Grosso del Sud che, ridotti in condizioni di miseria e abbandono, diventano mendicanti e si suicidano.
La demarcazione dell'area yanomami è il risultato di almeno dieci anni di studi sul territorio e sulla cultura indigena condotti da antropologi, politici e specialisti della FUNAI brasiliana, la Fondazione nazionale che so occupa dei problemi degli indios. Gli yanomami e gli altri indios brasiliani non sono proprietari delle terre in cui vivono, ma ne hanno l'usufrutto: la proprietà resta allo Stato. (...) Dato l'inscindibile rapporto tra l'indio e il suo ambiente, il problema va visto e affrontato in modo globale: la difesa dell'uomo non può prescindere dalla difesa dell'ecosistema in cui l'indio è inserito. Il problema della tutela delle aree in cui sopravvivono le popolazioni isolate o non ancora venute in contatto con i bianchi, più vulnerabili ed indifese, è la vera emergenza della politica "indi-genista" brasiliana. Infatti i gruppi isolati, sparsi su un immenso territorio, in zone di difficile accesso, sono praticamente alla merc é di quanti, per sfruttare le ricchezze naturali delPAmazzonia, prima o poi finirebbero per invadere le loro terre. (...)
C' è ancora chi combatte
Per demarcare le terre degli indios con cui si è già entrati in contatto, si possono visitare i loro villaggi e discutere con gli abitanti le decisioni da prendere. Con quelli ancora isolati, che si sentono minacciati e si difendono con archi e frecce, bisogna invece armarsi di molta pazienza e usare la massima cautela. Per riuscire a "pacificare" gli arara del bacino del Rio Irirì , affluente dello Xingu, ci sono voluti ben sedici anni. Come i wai-mirì -atroarì del bacino del Rio Negro, questi indios hanno opposto una strenua resistenza alla penetrazione dei neobrasiliani impegnati nella costruzione delle grandi strade transamazzoniche. Hanno combattuto accanitamente contro chi cercava di invadere e di occupare le loro terre, tenendo in scacco per anni un esercito di pericolosi intrusi, con agguati, uccisioni, feroci rappresaglie da entrambe le parti e orrende mutilazioni dei corpi delle vittime.
L'ultimo gruppo degli arara, composto da 32 individui, tra cui vari maschi adulti con lunghe barbe nere (indios barbu-dos), è stato avvicinato da Sydney Possuelo, ora presidente della FUNAI, solo nel 1987.
(...) Anche per "pacificare" i bellicosi parakanà del medio Xingu ci sono voluti anni di tentativi, finch é , tra il, 1983 e il 1985, si è posto fine ai continui scontri con i vicini arawet è , asurinì e xikrì n, sempre più stretti in una morsa letale tra progetti di costruzione delle grandi centrali elettriche e insediamenti agricoli, reti stradali e ferroviarie, legati allo sfruttamento dei ricchi giacimenti di manganese della Serra dos Carajas. Nella Vale do Javarì , non lontano dalle frontiere del Perù , è particolarmente critica la situazione di vari gruppi indigeni isolati come i kulì na e i marù bo del Rio Curuca e i mats è s (o mayorù na). Questi indios soffrono da decenni le conseguenze dei rapporti con la società nazionale, iniziati all'epoca del primo ciclo di raccolta della gomma. Alcuni tentano di resistere all'invasione delle loro terre con metodi di lotta tradizionali. Dopo una campagna di denuncia internazionale ("Campanha Javarì "), i loro territori sono stati dichiarati protetti e vietati ai non indigeni.
(...) La questione indigena, quella ambientale e quella dei brasiliani senza terra sono dunque solo le varie facce di un unico problema. Non si possono risolvere questi aspetti separatamente. L'espulsione dei garimperios dalla terra yanomami, per esempio, non ha certamente risolto la questione della sopravvivenza di decina di migliaia di persone affamate, e ha generato un nuovo grave problema in un'altra area indigena, quella macuxì , dove di conseguenza si sono trasferiti molti cercatori d'oro. (...)
La demarcazione ieri e oggi
L'opera di demarcazione delle terre indigene è stata iniziata nel lontano 1910 dal Servizio di Protezione degli Indios (SPI) e poi proseguita dalla FUNAI. Per decenni non sono mancate le polemiche. La FUNAI , organismo governativo, è stata accusata di pensare più alle tasche di chi aveva interesse a sfruttare la foresta che al futuro benessere delle popolazioni native.
In ottantadue anni, comunque, è stato demarcato circa il 45% delle terre indigene (...). Negli ultimi ottant'anni la filosofia che sta alla base della politica "indigenista" brasiliana è molto mutata. Non si pensa più di integrare l'indio nella società nazionale, come voleva il maresciallo Rondò n, il grande antesignano e ispiratore della nobile ma superata ideologia (influenzata dal positivismo di Auguste Comte), che auspicava l'incrocio tra gli indios e i bianchi e quindi la diffusione dell'elemento caboclo da trasformare in lavoratore di fazenda. Sull'esempio di Rondò n, la vecchia costituzione prevedeva l'armonica integrazione dei popoli indigeni in una futura società nazionale. Oggi si pensa invece che una popolazione, quando possiede risorse sufficienti per vivere autonomamente in un dato territorio, non debba essere avvicinata a tutti i costi. Il contatto si rende necessario solo quando il programma di vigilanza previsto dalla FUNAI risulta insufficiente a garantirne la sopravvivenza oppure quando, come è recentemente successo tra i kàmpa dell'Acre e tra i guajà del Maranhao, scoppiano tensioni interetniche tra popolazioni costrette a contendersi spazi e risorse vitali per sopravvivere. Nel territorio brasiliano sono segnalati 75 gruppi indigeni ancora isolati (dati del novembre 1991), di cui più di 40 non ancora avvicinati e circa 30 non ancora identificati. Nell'epoca delle imprese spaziali, della robotica e della telematica è stupefacente sapere che esistono ancora popolazioni isolate e sconosciute. (...)