testo e foto di Claudio Barberis

Alla tribù degli Eretmodini appartengono tre generi di Ciclidi: Eretmodus, Tanganicodus e Spathodus. Si tratta di pesci che si sono adattati a vivere nelle zone di risacca del Lago Tanganica. Questo tipo di habitat è limitato alle rive rocciose dove la profondità dell' acqua non supera di molto O metro. Qui le rocce sono coperte da uno spesso strato di alghe che rappresenta la base alimentare degli Eretmodini. Il movimento dell' acqua provocato dalle onde che si infrangono muove una certa quantità di sabbia che, andando a depositarsi sullo strato di alghe, viene ingerita dai pesci. Non è ancora chiaro se sia ingoiata volontariamente, ma il fatto che analizzando il contenuto dello stomaco sia sempre presente, fa pensare che venga assimilata per frantumare e digerire meglio le dure alghe filamentose. Anatomicamente i goby- Cichlids, così vengono soprannominati questi pesci, presentano il corpo compresso e la pinna dorsale molto lunga. Usando le pinne ventrali e pettorali si destreggiano tra i ciottoli, resistendo al forte movimento dell' acqua. La pinna dorsale, composta maggiormente da raggi duri e da pochi terminali molli, gioca un ruolo fondamentale nell' equilibrio del pesce. Inoltre ha una funzione di difesa: se un predatore si avvicina questi Ciclidi alzano la pinna dorsale, mettendo bene in vista i duri raggi spinosi. I predatori più comuni in questo ambiente sono i Masta-cembalus, che con la loro conformazione simile a quella dei serpenti vincono la turbolenza delle onde abbracciando le pietre.


Spathodus marlieri

Tanganicodus irsacae

La colorazione degli Eretmodini, che varia da specie a specie, è comunque sempre in sintonia con 1' habitat in cui vivono. E' importante notare come sul corpo siano presenti numerose barre scure verticali. Ma qual è la loro funzione? Nelle zone dove 1' acqua non supera i due tre metri notiamo che i raggi del sole, infrangendosi sulla superficie, creano dei riflessi che si proiettano sul fondo. Così facendo i raggi formano dei continui giochi di linee scure che rendono questi pesci perfettamente mimetizzati. Questa tesi viene confermata dal fatto che anche tutte le altre specie di Ciclidi che abitano le zone costiere a ridotta profondità possiedono le barrature verticali.

L' allevamento non presenta particolari difficoltà dato che le caratteristiche dei loro biotopi naturali possono essere facilmente riprodotte in acquario. Io li ho tenuti in un acquario da 300 litri con il fondo ricoperto da un paio di cen-timetri di sabbia molto fine su cui ho posato in ordine sparso dei tubi di pvc del diametro di 5 cm. Per finire ho ricoperto il tutto con numerosi ciottoli arrotondati, in modo da fornire sufficiente riparo e protezione ai futuri ospiti. Il filtro, interno alla vasca, aveva una capacità di 60 litri e conteneva granuli di lana, mousse e lana di perlon. L' ossigenazione era assicurata da una pompa da 620 It/h e da due pompe a cartuccia da 300 It/h. Queste ultime erano collegate ad un timer che le azionava ad intervalli di pochi secondi in modo da creare un movimento d' acqua simile a quello delle onde. Grazie alla forte illumi-nazione ben presto le pietre si sono ricoperte da un fitto strato di alghe. A questo punto la vasca era pronta e così introdussi 10 Eretmodus cyanostictus adulti. Il primo periodo non fu dei più felici, i pesci rifiutavano di mangiare e deperivano a vista d' occhio. Come spesso capita pensai si trattasse di parassiti dovuti ad una non adeguata quarantena. Gli esemplari provenienti direttamente dai biotopi di origine, se non vengono adeguatamente trattati con antibiotici, possono essere portatori di malattie anche gravi. Osservandoli attentamente intuii che la causa erano dei parassiti intestinali, visto che le feci erano bianche e filamentose. Così ricorsi subito ad una cura a base di Flagyl e di lì a pochi giorni i pesci si ristabilirono ed iniziarono a nutrirsi di alghe e piccoli crostacei. Con la salute tornarono anche i colori ed il loro comportamento si fece sempre più interessante. Nessun esemplare manifestava segni di territorialità e tutti vagavano da una zona all'altra dell' acquario senza disturbarsi particolarmente. Soltanto qualche tempo dopo uno dei maschi iniziò a presidiare una determinata zona. Ogni volta che li cibavo lasciavo cadere il mangime nello stesso posto, ripetendo questa operazione gli Eretmodus presero l' abitudine di ammassarsi in quella zona appena mi vedevano arrivare. Il maschio prima citato cercava di scacciare tutti gli altri per accaparrarsi più nutrimento possibile e terminato il pasto tutto tornava come prima.

Anche l'aggressività intraspecifica si rivelò molto limitata, gli scontri avvenivano sempre tra maschi e non erano mai cruenti. A differenza di altre specie non si prendevano mai per la bocca, n é tantomeno si colpivano sui fianchi. Il loro modo di combattere era più che altro dimostrativo, nel senso che si limitavano a spiegare le pinne girando uno intorno ali' altro. La loro colorazione, non molto appariscente, non ha soltanto una funzione mimetica, ma è di fondamentale importanza a livello comunicativo. Dopo ore ed ore di osservazioni ho imparato a decifrare alcuni messaggi in funzione delle variazioni cromatiche, soprattutto delle barrature verticali. Per esempio quando un pesce era spaventato, diventava molto chiaro e le bande quasi sparivano. Questo fungeva da allarme ed infatti in pochi secondi tutti gli altri pesci sparivano nascondendosi sotto le rocce. Quando due maschi si incontravano diventavano molto scuri ed ergevano la pinna dorsale, se invece un maschio incontrava una femmina diventava scuro, ma manteneva la pinna dorsale abbassata. Durante tutto il periodo dell' incubazione sia il maschio che la femmina si presentavano con le barre molto scure su uno sfondo verdastro. Prima di ogni accoppiamento i caratteristici punti azzurri erano ben visibili. Riguardo all'alimentazione mi limito a ricordare che, come tutte le specie dalle abitudini vegetariane, sarà meglio essere parsimoniosi nel somministrare cibo di origine animale. Io aggiungevo due volte alla settimana dei piccoli crostacei alla dieta quotidiana a base di alghe. L'accoppiamento è senza dubbio uno degli spettacoli affascinanti a cui ho potuto assistere. Le uova, dopo essere state deposte e fecondate, vengono tenute in bocca dalla femmina che da inizio all'incubazione. La cosa sorprendente è che il maschio non abbandona la sua compagna, ma la segue fino a quando, una decina di giorni più tardi, raccoglie in bocca a sua volta le uova fino al loro completo sviluppo. Questa strategia riproduttiva, chiamata incubazione biparentale, viene adottata da poche altre specie del Tanganica. L'utilità è di far sì che, dividendosi i compiti, anche la femmina abbia la possibilità di alimentarsi e quindi non deperisca. Ho assistito a diversi accoppiamenti in cui non sono mancate le eccezioni:
1) soltanto la femmina ha incubato le uova
2) il maschio e la femmina si sono scambiati più volte le uova.

Questo porta a pensare che l'incubazione biparentale sia un metodo riproduttivo in via di evoluzione. Le uova sono molto grandi ed i piccoli, al momento del rilascio, sono già più lunghi di 1 cm e la loro forma rispecchia perfettamente quella degli adulti. Il loro allevamento, se vengono rispettate determinate condizioni, è molto semplice. Infatti fin dai primi giorni gli avannotti iniziano a nutrirsi delle alghe presenti sulle rocce.

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